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La
scure del boia
Progetto di critica ed
autoformazione sulla riforma
e su un’università
sbilanciata a favore del sapere
-
Taglio di circa 1,4
miliardi di euro in 5 anni al FFO (20% FFO 2008); -
Taglio al Fondo
Integrativo per il Diritto allo Studio del 22,52 % (da 144 a 111
mln); -
Taglio da 31.9 mln a
24.7 mln al finanziamento per gli interventi per alloggi ed edilizia
universitaria per studenti.
In più
-
1 assunzione ogni 5
pensionamenti, per tutto l’organico (blocco del turn-over); -
Via libera alla
figura della Fondazione Universitaria, con conseguente ingresso
massiccio di capitali privati. La fondazione potrà liberamente
disporre di tutti i beni immobili e potrà ricevere donazioni
esentasse e con operazioni notarili ridotte al 90%. Potrà inoltre
ammettere l’ingresso di soggetti privati.
Tutto ciò quando in
Italia
-
Si spendono 5900
euro/studente all’anno ( media UE 8460 euro ) -
Si investe appena il
4,7% del PIL nell’istruzione ( media UE 5,8% ) -
Si investe lo 0.4%
del PIL in università ( Ungheria 1%, Portogallo 4%, media OCSE 1,5%
)
e nell’università
italiana
-
Vi sono mediamente
21,4 studenti per docente ( media UE 16,2 ) -
57 docenti su 100
hanno più di cinquant’anni ( Spagna, Germania, UK 30% )
( fonti Eurostat e OCSE2008
)
Prospettive…
Andiamo con ordine: l’entità del
taglio al FFO fornisce solo un quadro parziale di quelli che saranno
gli effetti economici reali. Le tasse universitarie, per legge, non
possono superare il tetto del 20% rispetto ai fondi di finanziamento
ordinari. Ad una riduzione di questi conseguirebbe quindi, a legge
invariata, una riduzione delle tasse universitarie, restringendo
ulteriormente le fonti di entrata. Nell’altro senso la riduzione
delle uscite, ossia il blocco degli scatti di anzianità per i
docenti e del turn-over, non colmeranno il mancato introito derivato
dai tagli. In questo contesto le università, per sopravvivere, si
ritroveranno a dover scegliere tra poche nefaste opzioni:
-
Diminuire l’offerta formativa,
smorzando il processo di scolarizzazione universitaria; -
Integrare le tasse universitarie
“tariffando” tutti quei servizi liberi da vincoli legali come
l’accesso ai laboratori; -
Ridefinire gli investimenti nella
formazione post-laurea; -
Intensificare l’attività di
consulenza e ricerca per conto terzi, ossia inseguire finanziamenti
esterni all’università.
La possibilità di trasformazione
dell’università da istituto di diritto pubblico a fondazione di
diritto privato apre un panorama confuso e preoccupante. Ad una prima
analisi il passaggio a fondazione esonera l’università dai vincoli
dati dal diritto amministrativo, come i principi di efficacia ed
efficienza, ossia funzionalità ed economicità, riducendolo a quello
imposto dal diritto privato: pareggio di bilancio. Di fatto la
disciplina della fondazione si richiama essenzialmente a criteri di
economicità, vincolando rispetto alla “ragione sociale” della
fondazione la destinazione dei beni e degli eventuali utili o
rendite.
L’università italiana, come del
resto la PA, è fonte di inefficienze e sprechi. Le necessità di
razionalizzazione sono evidenti ma è incomprensibile l’approccio,
puramente contabile, di questo decreto all’istituzione
universitaria: essa non può essere ridotta ad un’azienda, i cui
criteri di gestione si basano solo su una logica di costi-ricavi.
Se formalmente non ci troviamo di
fronte ad una “riforma” classica, comunque il decreto legge 133,
muovendosi su logiche prettamente economiche, disegna un nuovo
assetto della scuola ridefinendola in tutte le sue funzioni.
Lanciamoci quindi anche noi in
considerazioni economiche:
il “bene istruzione”, pur non
rientrando propriamente nella categoria dei beni pubblici – cioè
quei beni che per le loro caratteristiche intrinseche non sono rivali
nel consumo ( cioè che possono essere consumate da più persone
contemporaneamente senza che questo implichi un aumento del costo di
produzione) ne sono escludibili (non si può impedire a qualcuno di
goderne senza dover sostenere costi esorbitanti) – non può essere
allocato efficientemente sul mercato. Infatti, oltre al primo
evidente scopo di trasmissione di conoscenze, svolge altre importanti
funzioni (socializzazione di valori, custodia dei bambini…) non
propriamente economiche, che portano un beneficio INDIVISIBILE
all’intera società.
Lo Stato può – e deve – tenere
conto anche di queste funzioni, intervenendo nel mercato in modo da
garantire un’allocazione ottimale dell’istruzione. Un privato
invece non avrebbe alcun interesse a tenere in considerazione i
vantaggi sociali dell’istruzione, dato che insegue come unico scopo
il raggiungimento del profitto più alto possibile. La conseguenza e
la fissazione di un prezzo troppo alto,a cui consegue un’allocazione
sub-ottimale.
NON SI STA PARLANDO DI UN BENE
QUALSIASI, MA DELL’ISTRUZIONE!
Essa è fondamentale ad ogni persona
per sviluppare le proprie inclinazioni personali, per poter dare a
tutti la possibilità di svincolarsi dalla propria situazione
economica familiare, per permettere il “progresso materiale e
spirituale della società” ( riferimenti del tutto casuali agli
articoli 3 & 4 della costituzione…).
Muovendosi in questo modo il governo
italiano dimostra di non tenere in considerazione il diritto
costituzionale allo studio – un prezzo troppo alto implica una
riduzione dell’accessibilità all’istruzione – e di non essere
realmente interessato ad aiutare il nostro paese ad uscire dalla
desolante situazione socio-culturale in cui versa.
Rivedere gli orientamenti, i parametri
di valutazione e l’allocazione delle risorse è un compito che deve
essere affrontato, e se il governo non è disponibile ad assumersene
la responsabilità vorrà dire che dovremo provarci noi, attraverso
momenti di studio, tavoli di lavoro e seminari da cui nascano
proposte concrete per un Università pubblica bene amministrata,
senza logiche clientelari e baronie, incentrata sulla cultura e su
una trasmissione del sapere che dia realmente agli studenti
competenze e stimoli per un’analisi critica della realtà.
SIGLE:
FFO: Fondo di Finanziamento Ordinario
PA: Pubblica Amministrazione