Che cosa stanno realmente dicendo Senato Accademico e Cda dell’Ateneo di Bologna sulle conseguenze della legge 133 (Gelmini-Tremonti)
¬Tagli all’Università Pubblica
“ I tagli economici eguali per tutti mortificano gli atenei che hanno meglio lavorato” .
L’Ateneo di Bologna, esprimendosi in questo modo sui tagli all’università pubblica previsti dal pacchetto Tremonti-Gelmini, non contesta gli stessi, ma il fatto che siano indifferenziati, facendo riferimento a criteri di merito ed eccellenza valutati in base ai parametri di qualità: produttività, competitività e solidità finanziaria che non sono parametri culturali, ma prettamente aziendali. La dottrina aziendale piuttosto che culturale era comunque già stata abbracciata dall’Ateneo bolognese partecipando attivamente alla costituzione dell’Aquis (Associazione per la Qualità delle Università Italiane Statali).
Alla luce di questo riteniamo Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione colpevoli e inadempienti nei confronti del ruolo di garanzia e difesa dell’istruzione pubblica patrimonio culturale collettivo.
¬Finanziamenti privati
“ I finanziamenti esterni, ai quali siamo invitati a ricorrere, rischiano oggi di essere una mera parola d’ordine. Un ateneo come il nostro riceve dallo Stato circa 400 milioni l’anno. Anche cercando finanziatori privati per appena un 10% di questa cifra, non si vede chi possa garantire 40 milioni/anno”.
L’Ateneo non condanna i finanziamenti privati, ma afferma che questi, se limitati al 10% del totale, non riuscirebbero mai a colmare il buco lasciato dal mancato finanziamento pubblico, intendendo l’intervento finanziario privato all’interno dell’università pubblica come una mera questione di bilancio. Anzi nel convegno Aquis tenutosi a Bologna il 15 marzo 2008 emerge che "occorre introdurre un sistema premiale per le università più produttive" e che "Confindustria si schiera come partner delle università migliori".
Ancora una volta, con la complicità esplicita di Confindustria, si segue la logica discriminatoria della meritocrazia tra atenei pubblici. La disinvoltura con cui si accolgono e ricercano finanziamenti privati mette in crisi l’essenza stessa di un’università che si vuole pubblica riducendola a centro di produzione di forza lavoro e non riconoscendola ambito di libera creazione di sapere collettivo.
¬Università come fondazione privata
Sulla possibilità di trasformare le università pubbliche in fondazioni private prevista dal decreto Gelmini, l’ateneo bolognese non si è ancora espresso pubblicamente anche se le posizioni riportate nel punto precedente testimoniano la chiara volontà di privatizzazione. Confindustria dal canto suo incentiva questo progetto nel pieno disprezzo dei valori di solidarietà ed emancipazione sociale.
¬Nesso tra ricerca e precariato
“L’Italia non è infatti solo uno degli stati europei con il più basso tasso d’investimento in ricerca e con la minor concentrazione di ricercatori, ma è anche uno degli stati con i ricercatori più produttivi e meno costosi. Se guardiamo infatti alle pubblicazioni scientifiche (criterio di produttività), l’Italia è tra i principali produttori europei e il suo trend è in crescita. I suoi scienziati sono tra quelli che creano mediamente più conoscenza e lo fanno più a buon mercato, se si rapportano i risultati agli investimenti”.
L’Ateneo di Bologna in questo gravissimo passaggio del resoconto del convegno Aquis del 15 marzo 2008 (http://www.magazine.unibo.it/Magazine/Attualita/2008/03/15/Aquis.htm) si fa forte della propria produttività, vantandosi di sfornare un alto numero di pubblicazioni a basso costo. Il basso costo si riferisce alla pessima retribuzione dei ricercatori precari. Questa non è efficienza economica ma sfruttamento senza scrupoli e precarizzazione dei ricercatori.
¬Turnover al 20%
“Il turn over bloccato al 20% è anche questa una misura facile. Ma è un altro taglio indiscriminato. In più, questo sistema incide negativamente proprio sugli atenei che stanno coraggiosamente investendo sui giovani ricercatori”
Al di là della sfacciata ipocrisia riservata ai “giovani ricercatori”, l’Ateneo di Bologna non prende una posizione netta contro il turnover al 20% (rimpiazzo di un solo docente su 5 che vanno in pensione), ancora una volta, con motivazioni meritocratiche, ne auspica l’applicazione ristretta agli atenei meno produttivi. Questa posizione danneggia in primo luogo i ricercatori, relegandoli in una posizione di precarietà senza limiti temporali, in secondo luogo va a istituzionalizzare la creazione di Atenei di serie A e Atenei di serie B, Atenei più finanziati e Atenei più poveri, studenti differenziati per estrazione socio-economica, lauree più o meno prestigiose. Questa discriminazione è comunque già delineata nella composizione dell’Aquis dove su 19 Atenei aderenti, 11 sono del Nord Italia, 5 del Centro (2 della capitale) e solo 3 del Sud.
A fronte di questa analisi riteniamo palese che gli organi istituzionali dell’Ateneo di Bologna abbiano preso una posizione politica inequivocabile, inaccettabile da chi sostiene e difende l’istruzione pubblica e il ruolo fondamentale che essa ricopre nel rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza, impediscono l’effettiva partecipazione di tutt* all’organizzazione politica, economica e sociale.
Inoltre la posizione dell’Aquis si delinea come lobby di pressione politica con la finalità di smantellare l’università pubblica a favore degli interessi del mercato.
Per dire no alla privatizzazione e allo smantellamento dell’università pubblica, per reagire di fronte al disegno criminoso di questo Senato Accademico e di questo Consiglio di Amministrazione, invitiamo tutt* a partecipare al presidio di martedì 21 ore 9 davanti al 33 di via Zamboni dove si terrà la riunione del Senato Accademico.
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