COME DISTRUGGERE LA SCUOLA PUBBLICA
Documento di analisi sulla controriforma Gelmini (qui in formato .pdf)
Come ogni anno a settembre un Ministro dell’Istruzione ha deciso di
dover riformare l’istituzione scolastica gentiliana per renderla più
“moderna” e “al passo coi tempi”.
In cosa si concretizzino queste intenzioni dei ministeri italiani è
chiaro a tutti: con una serie di decreti legge si tenta di danneggiare
ulteriormente l’istituzione scolastica, intendendo per modernizzazione
della scuola più forti norme disciplinari e un taglio ai fondi pari a 8
miliardi.
Questa strategia adottata per la scuola è in perfetto allineamento con
le politiche di governi che considerano il welfare un peso per la cosa
pubblica e che pertanto, invece di tagliare i propri stipendi
milionari, portano avanti attacchi a tutti i servizi statali.
La campagna di diffamazione nei confronti dei lavoratori del pubblico
impiego, definiti negli ultimi mesi fannulloni e considerati
unanimemente dai media come un peso per lo stato, rientra perfettamente
in questo scenario, che tende all’annullamento dei diritti dei
lavoratori del settore pubblico, ultimi ad aver mantenuto una parte di
quei diritti conquistati con scioperi e lotte nel passato.
Il problema dei fannulloni nella P.A. si risolve ha detto Brunetta "semplicemente licenziandoli”.
L’ intervento dei privati nel settore pubblico si fa strada sempre più
in ogni settore: dai servizi primari (acqua, luce, gas) alle USL (che
non a caso ora sono chiamate AUSL, per ribadire il fatto che si tratti
di aziende), dalle scuole ai trasporti pubblici.
Un’altra questione chiave che emerge con forza dalle politiche di
questo governo è la strategia di decentramento per quanto riguarda gli
enti pubblici, che porta ad una sempre maggiore disparità nella qualità
dei servizi nella penisola.
Le regioni del sud, anche grazie alla fine della contrattazione
nazionale e al federalismo fiscale, sono private di ogni tipo di
redistributore del reddito e vengono quindi condannate a essere regioni
sempre più povere ed arretrate nelle quali lo stato non è presente e fa
mostra di se solo una forma di potere mista tra pubbliche
amministrazioni e clan mafiosi.
È nostro interesse con questo documento mostrare come queste politiche generali si coniughino nel settore scuola in particolare.
Guerre statali: morte ai fannulloni
Ovvero
Come i lavoratori della scuola diventano un peso per lo stato
Il governo ha caratterizzato la propria politica gestionale della
pubblica amministrazione attraverso una strenua guerra alla sfrontata
inefficienza e al malizioso assenteismo degli impiegati statali.
Per ovviare a questo problema si è deciso di tagliare
indiscriminatamente posti di lavoro in tutti i comparti pubblici, primo
tra tutti quello considerato in assoluto il più inutile, in quanto
privo di immediato profitto: la scuola.
I tagli di questa finanziaria hanno scandalizzato persino l’ex ministro
Fioroni, ex democristiano, noto per il suo attaccamento alle
sovvenzioni statali per le scuole paritarie: 8 miliardi di euro in meno
nel corso del triennio 2009-2012, che colpiscono le risorse umane
dell’istruzione.
87.000 insegnanti e 43.000 impiegati ATA perderanno il posto di lavoro: erano solo un peso morto sulle spalle dei contribuenti.
In compenso, in una gioiosa e ilare conferenza stampa congiunta tra
presidente del consiglio e ministro Gelmini, è stato annunciato uno
stanziamento record di 20 milioni di euro per l’acquisto di 10 000
lavagne interattive all’avanguardia, ignorando, tra le altre, la
scottante questione dell’edilizia scolastica.
Non esiste nel nostro paese una seria progettualità per il futuro della
scuola pubblica, ossia di tutti, unico efficace strumento di giustizia
sociale, che permetta a ciascuno la possibilità di vedere riconosciuti
il proprio impegno e il proprio lavoro.
Politiche di facciata, per dimostrare demagogicamente all’elettorato
l’efficacia delle proprie criminali azioni, stanno distruggendo
l’economia, la scuola, la sanità e la società italiana.
Il ministro Brunetta ha trionfalmente annunciato il successo delle
politiche “antifannulloni”, annunciando che il tasso di assenteismo
nelle scuole è drasticamente calato grazie all’applicazione delle norme
da lui redatte.
I dati citati facevano riferimento ai mesi di Giugno, Luglio e Agosto,
in cui l’attività scolastica è ferma, e in cui la probabilità di
contrarre febbre o altre malattie è sensibilmente minore.
Questo è solo uno degli stratagemmi adottati per rendere credibile la
propria immagine, mentre si distrugge dall’interno il già fragile
sistema scolastico italiano.
Licenziamenti di massa che diventano meritocrazia, elogio dell’evasione
fiscale, dispregio dei beni pubblici considerati come mero strumento di
prevaricazione o come inutili sprechi di danaro, sono questi valori di
questo governo appena insediatosi.
Il pubblico si prostituisce ai privati
ovvero:
L’allegro trinomio di Autonomia, Scuola Fondazione e Finanziamenti alle scuole parificate.
È ormai dal ministero Moratti che assistiamo al progressivo
smantellamento della scuola pubblica, che si viene a configurare
attraverso 3 azioni coordinate:
1. L’autonomia scolastica su base regionale è la delega ad opera
dello Stato della gestione effettiva dell’istruzione, la ripercussione
del federalismo fiscale sulla scuola. La disponibilità di denaro
pubblico è ovviamente molto diversa da regione a regione, e si viene a
configurare così in modo devastante la scissione tra Nord e Sud, con
quest’ultimo abbandonato ancora una volta a sé stesso. Le scuole si
trovano a doversi vendere al migliore offerente, stipulando con questo
veri e propri contratti. Ma come si può trarre vantaggio
dall’investimento nella scuola pubblica? È qui che entra in gioco la
fondazione.
2 La trasformazione della scuola pubblica in fondazione prevede la
nascita di un rapporto parassitario tra investitore e mercato
d’investimento, che in questo caso altro non è che la scuola stessa. I
vantaggi, infatti, che un ente terzo (che sia un singolo,
un’università, o un’associazione) riceve da questo tipo di rapporto,
sono immediati: da una parte l’esenzione dal pagamento delle tasse
relative alla fondazione permettono all’investitore (che diventa colui
che incarna nella sua persona giuridica questa istituzione privata),di
guadagnare direttamente i soldi donati da eventuali finanziatori
esterni. Inoltre, la riforma degli organi collegiali apre il Consiglio
d’Istituto a questi personaggi, che hanno facoltà decisionale e
possibilità di votare, condizionando fortemente a proprio vantaggio
l’impiego del capitale della scuola. Il nuovo ministro Gelmini ha
inoltre dato ulteriore valore a questa pratica, introducendo la
questione della meritocrazia.
Sorge spontaneo, infatti, domandarsi chi
sia abilitato a valutare il provento del lavoro di un istituto. Il
ministro, in una sua lettera aperta ai colleghi afferma che saranno
enti terzi, anche questa volta, a constatare l’andamento delle scuole.
Maggiore potere, secondo le sue parole, sarà affidato ai presidi, che
verranno trasformati in veri e propri datori di lavoro, abilitati a
tarare gli stipendi dei propri sottoposti, in relazione alle stime
appurate dagli enti esterni. Appare superfluo affermare che la
corruzione e il clientelismo sarebbero parole chiave di questa
gestione. Conseguenza necessaria è la nascita di scuole di serie A e di
serie B, che precludono la fruizione democratica dell’istruzione. In
questa ottica si viene a porre anche la questione della svalutazione
degli istituti tecnico professionali, nei quali le ore di alternanza
scuola-lavoro ammonteranno a 1/3 dell’orario curricolare. Il macabro
rapporto tra scuola, mondo del lavoro e territorio è indissolubilmente
compiuto.
In un periodo di gravissima crisi economica, come quello in cui si
devono necessariamente contestualizzare queste dinamiche, pare
quantomeno controtendenza e distruttiva la politica di privatizzazione
coatta dell’istruzione. I processi, infatti, di sovvenzionamento ad
opera di privati, con facoltà decisionale, sono l’avvenimento
diametralmente opposto all’intervento statale che sta tenendo in piedi
l’economia globale in questi giorni.
Sono infatti i fondi sovrani,
ovvero fondi d’investimento pubblici, basati sull’acquisto di immobili
ad opera di governi ( per esempio quello del Kuwait, cinese, norvegese,
o del Qatar) a investire nei mercati in forte crisi. Ciò avviene con
un’ottica speculativa, fino ad ora “passiva”, benchè non sia da
escludere in un futuro il reclamo di intervento diretto nelle
decisioni. Forse che sia l’intero mercato ad aver intrapreso una strada
sbagliata, o piuttosto la politica scolastica italiana? Ai posteri
l’amara constatazione.
Ultimo elemento di questa danza sono i sovvenzionamenti alle scuole
parificate.
Se fino all’anno scorso questi ammontavano a circa 532
milioni di euro, non è ancora dato sapere quest’anno i dati precisi,
poiché quanto sarà in Finanziaria deve restare “segreto” per quanto
possibile.
Sono tuttavia chiare le intenzioni del ministro, che afferma
che “le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico al pari delle
scuole statali”, e godono pertanto di uguali diritti ad accedere ai
fondi statali. Saranno promossi ancora una volta, sempre in relazione
alle autonomie regionali, i buoni scolastici regionali, altra forma di
contributo statale alle casse private. Questi sono di due tipi,
assegnati o in base alla spesa scolastica (andranno dunque in quantità
maggiore a chi fruisce di un servizio privato, più caro), oppure al
reddito delle famiglie.
Accanto a questi ultimi la Gelmini ha promesso
ulteriori sgravi di imposta per chi sceglie la scuola parificata. Le
stime vogliono che lo stato, sostenendo l’esistenza e la persistenza
delle scuole private, risparmi fino a sei miliardi l’anno, poiché i
suoi obblighi nei loro confronti sono comunque inferiori.
Sorge
spontaneo domandarsi dove questi soldi vadano a finire, se, nonostante
ciò, si sente comunque la necessità di tagliare all’istruzione pubblica
altri 8 miliardi, diluiti dal 2008 al 2012.
Ultima osservazione
necessaria, in merito ai sovvenzionamenti ai privati, è quella in
relazione alle scuole cattoliche (che rappresentano l’80% degli
istituti). Nell’incontro del 29 maggio tra il Pontefice e il Presidente
del consiglio, il Papa ha espresso con premura la richiesta di “un
adeguato sostegno all’impegno delle istituzioni ecclesiastiche nel
campo scolastico, che versano in difficoltà drammatiche”. Nemmeno a
dirlo, ma questo impegno non è stato rifiutato. Non si capisce per
quale motivo, se le aziende in fallimento chiudano, e se la tendenza
generale del nostro paese sia quella di sfogare nel privato la crisi
del pubblico, in questo caso lo Stato si debba prendere l’onere di
sostenere la crisi di un sistema privato, secolarmente corrotto.
Si lavora si produce….
Ovvero
Come gli studenti diventano bestie da soma
Sicuramente gli istituti tecnici e professionali sono quelli più
colpiti nella scuola superiore dal ridimensionamento scolastico voluto
dalla Gelmini,l’istruzione tecnica e professionale è infatti prossima a
subire una drastica dequalificazione che non potrà non avere
ripercussioni negative per chi questi istituti frequenta ogni giorno e
si aspetta da essi una formazione.
Illustriamo brevemente i punti inerenti alla riforma degli istituti
tecnici e professionali che riteniamo debbano essere contestati con
forza:
1. Il drastico ridimensionamento dei fondi dedicati all’istruzione
tecnica e professionale che porterà ad un concreto ridimensionamento
delle ore di sperimentazione e laboratorio negli istituti
2. L’insieme dei provvedimenti relativi all’accorpamento degli istituti
tecnico-professionali e l’innalzamento del numero degli alunni per
classe porterà a classi sovraffollate e di conseguenza ad una forte
riduzione della qualità didattica, che inoltre diventerà molto meno
accessibile a chi risiede in comuni montani o comunque di provincia,
nei quali non vi saranno più scuole professionali e tecniche.
3. Il nuovo tetto delle ore didattiche previste è al massimo di
trentadue ore settimanali (laboratori compresi); per i professori è
evidente l’impossibilità di far coincidere e svolgere adeguatamente le
ore relative all’apprendimento teorico e quelle relative
all’apprendimento pratico. Dunque lo studente uscirà con una minore
preparazione, che ovviamente riguarderà le ore di cultura generale,
giudicate inutili dal ministro.
4. La cancellazione delle sperimentazioni, fondamentali per un apprendimento qualificato e specialistico.
5. La continuità di un percorso scolastico basato sulla triste realtà
dell’alternanza scuola-lavoro, che riteniamo sia metodo sbagliato di
avviamento alla pratica lavorativa, promosso con il solo intento di
favorire un facile sfruttamento da parte delle aziende del giovane
personale che a loro si presenta.
6. L’impossibilità di accesso all’università degli studenti di tecnici
e professionali condurrà al paradosso morattiano per cui uno studente
di terza media deve scegliere il proprio futuro in maniera irrevocabile.
L’obiettivo ultimo di queste manovre è però un altro: ridurre gli
studenti delle scuole professionali e tecniche a semplice manovalanza
impossibilitata ad avere anche la più minima forma di cultura
personale, di coscienza, di possibilità di riscatto.
Sporchi brutti e cattivi
Ovvero
La farsa dei bulli
Negli ultimi mesi abbiamo assistito all’aumento esponenziale del numero
di aggressioni a carattere razziale, come è ovvio anche alla luce dello
straordinario (o agghiacciante) risultato della Lega. Le norme
securitarie del nuovo governo sono sufficienti per parlare emergenza
democratica: dal reato di clandestinità all’esercito nelle città, dai
200 euro per un permesso di soggiorno alla legittimazione delle ronde
di stampo neofascista. La sicurezza dei cittadini nelle città viene
pagata a caro prezzo: essi infatti sono disposti a rinunciare ad una
parte della propria libertà.
Anche grazie al monopolio quasi ventennale dell’informazione, al
servizio degli interessi politici del momento e strumento di propaganda
razzista (“emergenza rom”), assistiamo ad una sostanziale e drammatica
riduzione degli spazi di partecipazione democratica che dovrebbero
essere alla base della nostra società.
In ogni settore della società, da quello sindacale a quello
dell’informazione gli spazi per dissentire diventano sempre più
stringati e chi si permette questo lusso è sempre più stigmatizzato
come “estremista” o “violento”.
Un progetto del genere ovviamente non può che riguardare anche la
scuola pubblica.
Il ministro Gelmini dall’inizio della legislatura ha
sempre sostenuto una scuola più formale e rigida con il ritorno del
grembiule per le scuole elementari e del voto in condotta. Quest’ultima
norma, concepita in risposta al famoso “fenomeno bullismo”, oltre a
riportare la scuola indietro di trent’anni non fa altro che restringere
l’agibilità politica degli studenti medi superiori.
>>>Nelle scuole il
voto in condotta è stato abbondantemente usato come deterrente per
scoraggiare picchetti e occupazioni.
Se considerati poi gli obblighi di
segnalazione da parte dei dirigenti degli insegnanti che ostacolino la
“riforma” (Imola e non solo) o ricatti sul rinnovo del contratto ai
precari è chiara l’intenzione di stroncare qualsiasi forma di protesta
e di colpire personalmente chi si azzarda a lottare per una nuova
concezione della scuola pubblica.
Conclusione
Secondo un’analisi, come quella tentata, che declina istanze generali
nello specifico della scuola è evidente che sarebbe limitante
individuare il problema nella Gelmini. Linee comuni di continuità sono
facilmente individuabili in tutte le “riforme” scolastiche italiane a
partire dalla riforma Berlinguer.
In generale viene perseguita la
privatizzazione della scuola, funzionale sia alla creazione, o meglio
la riscoperta, di una nuova nicchia di mercato, quella dell’istruzione,
e al tempo stesso alla definizione di una società classista, in cui la
classe dirigente si assicura la perpetuazione della propria specie
condannando alla minorità culturale (e quindi alla perenne
sottomissione) il blocco sociale sottostante.
Stabilito che la politica scolastica non è che un aspetto di un
progetto di trasformazione della società secondo uno specifico modello
politico-economico, è necessaria una riflessione sulle possibilità di
opposizione a questo modello.
Sembra inevitabile che un movimento di protesta nasca dalla situazione
contingente (come può essere un movimento no-gelmini), ma è
indispensabile che venga compreso il carattere generale del problema.
Per evitare di trovarsi a ricostruire ogni volta tutto da campo bisogna
dare una possibilità di respiro più ampia alla questione.
Al di là
delle particolarità del metodo di azione dei singoli ministri ( dalla
riforma organica al decreto legge) o ai temi più o meno folkloristici
rispolverati (dall’esame di riparazione al grembiulino) devono essere
individuati e attaccati quei nodi ideologici fondanti che si cerca di
fare passare inosservati all’opinione pubblica.
L’attenzione deve
essere spostata sulla costante del contenuto e non sul credo politico
professato dal governo in questione.
Fondamentale è la capacità di
slegarsi da quelli che sono ufficialmente e formalmente individuati
come soggetti istituzionalmente votati alla difesa dei diritti, ma di
fatto strutturalmente compromessi nella loro funzione. Solo così si può
pensare di creare un movimento realmente capace di agire autonomamente
nello specifico senza mai perdere di vista la necessaria generalità del
conflitto.
Una scintilla può dare fuoco a tutta la prateria.
COORDINAMENTO STUDENTESCO di BASE iSKRA – BOLOGNA