Appello nazionale dalla Sapienza occupata

Appello nazionale, Roma 22.10.2008

L’onda anomala non si fermerà!

Alle facoltà in mobilitazione,
alle studentesse e agli studenti, ai dottorandi, ai precari della ricerca

"Noi la crisi non la paghiamo", è questo lo slogan con cui poche settimane
fa abbiamo iniziato le mobilitazioni all’interno dell’università la
Sapienza. Uno slogan semplice, ma nello stesso tempo diretto: la
crisi globale è crisi del capitalismo stesso, della speculazione
finanziaria
e immobiliare, di un sistema senza regole né diritti, di manager e
società
senza scrupoli; questa crisi non può ricadere sulle spalle della
formazione,
dalla scuola all’università, della sanità, dei contribuenti in genere.

Lo
slogan è diventato famoso, correndo veloce di bocca in bocca, di città in
città. Dagli studenti ai precari, dal mondo del lavoro a quello della
ricerca, nessuno vuole pagare la crisi, nessuno vuole socializzare le
perdite, laddove la ricchezza è stata per anni distribuita tra pochi,
pochissimi.

Ed è proprio il contagio che si è determinato in queste settimane, la
moltiplicazione delle mobilitazioni nelle scuole, nelle università, nelle
città, che deve aver suscitato molta paura. Si sa, il cane che ha paura
morde, altrettanto la reazione del presidente del Consiglio Berlusconi non
si è fatta attendere: "polizia per le università e le scuole occupate",
"faremo fuori la violenza dal paese". Soltanto ieri Berlusconi aveva
dichiarato di voler aumentare i sostegni economici alle banche e di voler
fare dello stato e della spesa pubblica garanti in ultima istanza per i
prestiti alle imprese: in una parola, tagli alla formazione, meno risorse
per gli studenti, tagli alla sanità, ma soldi alle imprese, alle banche,
ai
privati.

Ci chiediamo allora dove si trova la violenza: è violenta
un’occupazione o piuttosto è violento un governo che impone la legge 133 e
il decreto Gelmini, in barba a qualsiasi discussione parlamentare? E’
violento il
dissenso o chi intende soffocarlo con la polizia? E’ violento che si
mobilita in difesa dell’università e della scuola pubblica o chi intende
dismetterle per favorire gli interessi economici di pochi? La violenza sta
dalla parte del governo Berlusconi, dall’altra parte, nelle facoltà o
nelle
scuole occupate, c’è la gioia e l’indignazione di chi lotte per il proprio
futuro, di chi non accetta di essere messo all’angolo o costretto al
silenzio, di chi vuole essere libero.

Ci è stato detto che sappiamo soltanto dire no, che non abbiamo proposte.
Niente di più falso: proprio le occupazioni e le assemblee di questi
giorni
stanno costruendo una nuova università, un’università fatta di
conoscenza,
ma anche di socialità, di sapere ma anche di informazione, di
consapevolezza. Studiare è per noi fondamentale, proprio per questo
riteniamo indispensabili le proteste: occupare per poter far vivere
l’università pubblica, dissentire per poter continuare a studiare o fare
ricerca. Molte cose nell’università e nelle scuole vanno cambiate, ma una
cosa è certa, il cambiamento non passa per il de-finanziamento.

Cambiare
l’università significa aumentare le risorse, sostenere la ricerca,
qualificare i processi formativi, garantire la mobilità (dallo studio alla
ricerca, dalla ricerca alla docenza). Il de-finanziamento, invece, ha un
solo scopo: trasformare le università in fondazioni private, decretare la
fine dell’università
pubblica.

Il disegno è chiaro, anche gli strumenti: la legge 133 è stata approvata
nel
mese d’agosto, di fronte al dissenso di decine di migliaia di studenti si
invoca l’intervento della polizia. Questo governo vuole distruggere la
democrazia, attraverso la paura, attraverso il terrore. Ma oggi, dalla
Sapienza in mobilitazione e dalle facoltà occupate diciamo che noi non
abbiamo paura e di certo non torneremo indietro sui nostri passi. È nostra
intenzione, piuttosto, far retrocedere il governo: non fermeremo le lotte
fin quando la legge 133 e il decreto Gelmini non verranno ritirati!

E questa
volta andiamo fino in fondo, non vogliamo perdere, non vogliamo abbassare
la
testa di fronte a tanta arroganza. Per questo invitiamo tutte le facoltà
in
mobilitazione del paese a fare la stessa cosa: vogliono colpire le
occupazioni e allora che altre mille scuole e facoltà occupino!
In più, al seguito dello straordinario successo dello sciopero e delle
manifestazioni del 17 ottobre, indetti dai sindacati di base, riteniamo
giunto il momento di dare una risposta unitaria e coordinata nelle piazze
delle nostre città.

Proponiamo di dare vita a due scadenze nazionali: una
giornata di mobilitazione per venerdì 7 novembre, con manifestazioni
dislocate in tutte le città;
una grande manifestazione nazionale del mondo
della formazione, dall’università alla scuola, a Roma per venerdì 14
novembre, giornata in cui i sindacati confederali hanno decretato lo
sciopero dell’università, giornata da costruire dal basso e che veda
protagonisti in primo luogo gli studenti, i ricercatori ed i docenti in
mobilitazione.

Altrettanto riteniamo utile attraversare, con le nostre
forme
e i nostri contenuti, lo sciopero generale della scuola promosso dai
sindacati confederali fissato per giovedì 30 ottobre.
Quello che sta accadendo in questi giorni ci parla di una mobilitazione
straordinaria, potente, ricca.

Una nuova onda, un’onda anomala che non
intende fermarsi e che piuttosto vuole vincere. Facciamo crescere l’onda,
facciamo crescere la voglia di lottare. Ci vogliono idioti e rassegnati, ma
noi siamo intelligenti e in movimento e la nostra onda andrà lontano!

Dalle facoltà occupate della Sapienza di Roma, dall’ateneo in
mobilitazione

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