[Gruppo Analisi Storica] “Diversamente Qualificati”: storia della ri-strutturzione dell’università pubblica

“Diversamente qualificati”, ovvero
una piccola storia sulla ristrutturazione dell’ università pubblica


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Ci siamo conosciuti nella lotta contro i decreti Tremonti-Gelmini. Ci siamo incontrati su un comune rifiuto di questo progetto di smantellamento dell’ università pubblica. Subito dopo abbiamo iniziato a porci delle domande. Parecchie. Fra queste, una in particolare: da dove viene questo processo? Quali possono essere le motivazioni che lo determinano? Perché quelle che ci danno,  tipo “razionalizzare le spese” o “eliminare gli sprechi” non è che ci soddisfino più di tanto, anzi per niente.
Questo documento nasce dall’esigenza di informare ed informarci circa il decreto Tremonti e di considerarlo parte di un processo storico più ampio; il nostro obiettivo è tentare una ricostruzione del percorso che ha portato all’attuale sistema universitario,  nelle sue complesse relazioni con il trasformarsi della società e del sistema produttivo.



APPUNTI SPARSI PER UN’ ANALISI INTERPRETATIVA

A partire dagli anni 60 l’università si fa di massa, i meccanismi di esclusione della vecchia università d’ élite saltano sotto le spinte dei movimenti sociali, le porte degli atenei si aprono a nuovi soggetti sociali – l’ istruzione superiore si prospetta come strumento di emancipazione della classe degli sfruttati. Tra il 1961 e il 1967 la popolazione studentesca cresce del 117%; se nel 1967 gli studenti sono più di 500 mila, nel 2004 sono 1 milione e 800 mila.

E’ su questa dinamica di massificazione che le classi dirigenti europee introducono il disegno noto come “processo di Bologna”: un sistema complesso in cui l’ aziendalizzazione  e la canalizzazione dei percorsi formativi – i diversi livelli di laurea – assicurano un nuovo meccanismo, più sofisticato, di selezione all’ interno del corpo studentesco.

Da un lato, l’ università si apre all’ impresa captandone finanziamenti e assorbendone i linguaggi e i metodi (criterio della produttività prima di tutti). Ciò si traduce principalmente in un’ accentuata competitività tra i singoli poli didattici e in una tendenza alla diversificazione tra poli d’ eccellenza (più produttivi, più competitivi, più costosi per gli studenti) e gli altri atenei, prendendo ad esempio il sistema statunitense in cui la polarizzazione tra università è una realtà consolidata ed evidente.
Dall’ altro l’ introduzione dei crediti e dei diversi livelli di laurea (triennale, specialistica e master) creano una nuova segmentazione e stratificazione della formazione. Si tratta di dinamiche complesse e compenetranti, in parte anche contraddittorie. Dalla laurea totalmente dequalificata e “proletarizzante” al titolo di alto livello da quadro dirigente c’è un continuum attraversato da confini mobili e molteplici; tra poli d’eccellenza e atenei di massa, tra triennale e specialistica, tra specialistica e master, tra corsi dello stesso livello ma con diversi requisiti d‘accesso. A complicare il quadro c’è la geografia dei micro-poteri interni all’università, gli interessi corporativi, che rendono assolutamente non lineare l’ applicazione del progetto di riforma dall’ alto. (Basti pensare alle diverse reazioni di questi giorni dei rettori di fronte al decreto-Tremonti; ma anche il Ddl Moratti sullo statuto della docenza suscitò reazioni diverse; e anche qui, stiamo citando giusto gli esempi più lampanti).

RUBERTI

La riforma Ruberti (1989-90) getta le prime basi di due decenni di trasformazioni. Istituisce l’ autonomia organizzativa e finanziaria dei singoli atenei, e la possibilità per questi ultimi di stipulare contratti, convenzioni, consorzi coi soggetti privati; istituisce i diplomi universitari – le lauree brevi – che però saranno accompagnate da scarso successo – 6% degli iscritti del sistema universitario in dieci anni di applicazione. Gli atenei possono ora darsi uno statuto autonomo, ma soprattutto cominciano a fare i conti col principio della concorrenza.
 L’ effetto indiretto di questa riforma è l’ aumento generalizzato delle tasse universitarie, che si dispiega in maniera  continua e flessibile (ateneo per ateneo) lungo tutti gli anni 90, determinato da un susseguirsi di piccoli provvedimenti come la finanziaria del 93 del governo Ciampi, che riconosce agli atenei l’autonomia nello stabilire l’importo delle tasse studentesche, pur non potendo superare il 20% del finanziamento statale. Tale valore (incidenza delle spese a carico degli studenti sul finanziamento complessivo) passa dal 3% al 10.5% in poco più di dieci anni, con alcuni atenei che superano anche la soglia del 20% prevista per legge.

BOLOGNA AGREEMENT (19 giugno 1999) ovvero B-DAY

Ma è con la dichiarazione di Bologna per la creazione di un sistema formativo europeo che si dispiega pienamente la ristrutturazione massiccia dell’Università; le direttive europee (già partite con la dichiarazione della Sorbona del ’98) prevedono infatti “l’armonizzazione dei sistemi di istruzione superiore” e si propongono come obiettivi principali:
“l’adozione di un sistema di titoli comparabili per peso”, che diventeranno in concreto i CFU; tale iniziativa punta a contabilizzare la quantità di tempo dedicata all’apprendimento.
l’introduzione del nuovo ordinamento del 3+2 attraverso il quale si cerca di abbreviare il percorso di studi degli studenti al fine di un loro più veloce inserimento nel mondo del lavoro.
l’istituzione di 42 classi di laurea triennale e 104 di laurea specialistica, ognuno dei quali ha pari validità indipendentemente dall’ Ateneo (valore legale del titolo di studio).

La dichiarazione di Bologna rientra nel processo d’integrazione europea, che prevede l’adeguamento del sistema formativo di ogni paese dell’UE alle nuove esigenze del mercato del lavoro europeo che per affermarsi necessita di una forza lavoro con un certo grado di qualificazione ed estremamente flessibile, costantemente impegnata in un processo di "formazione permanente" dentro e fuori l’università.

ZECCHINO

L’Italia, per una volta, arriva prima di tutti gli altri paesi europei: già nel novembre ’99, con la riforma Zecchino, si attuano le linee guida della dichiarazione di Bologna. In sostanza si istituiscono il 3+2, il sistema dei crediti (CFU) e l’autonomia didattica degli atenei.
Gli intenti dichiarati sono l’innalzamento del numero dei laureati, l’introduzione di una maggior varietà di percorsi formativi e il rafforzamento del legame tra istruzione e mondo del lavoro.
Non ci è però difficile tratteggiare il “lato oscuro” delle direttive europee in materia, che prevede sì un aumento nominale del numero di laureati sul totale della forza lavoro, e la loro più giovane età di conseguimento del titolo, ma a condizione di una formazione in generale dequalificata, che sfocia in un mercato del lavoro che lascia poche aspettative, e ancor meno certezze.
La pretesa varietà dei percorsi formativi, unita al sistema dei crediti, implica soprattutto un sapere frammentato, specializzato nella sua suddivisone in moduli e in micro-discipline, un sapere disorganico e senza possibilità di rielaborazione critica. Una vasta scelta di prodotti simili e spesso inutili.

MORATTI

Il sistema del doppio livello di laurea, pensato come meccanismo di selezione dei laureati, non si rivela all’altezza delle aspettative: troppi studenti accedono alla specialistica a dimostrazione dell’effettiva svalutazione della triennale.
La riforma Moratti procede sullo stesso tracciato della Zecchino tentando di ovviarne le disfunzioni, andandone così a modificare vari aspetti. In particolare il 3+2 viene trasformato in 1+2+2, che accentua la disorganicità del processo formativo, e si intima per legge alle facoltà di inserire precisi  sbarramenti all’ ingresso delle lauree specialistiche (e magistrali).
Inoltre il Ddl sullo statuto della docenza introduce nuovi elementi di precarietà per i ricercatori, allungando a 13 anni l’iter da percorrere per accedere alla cattedra (3 anni di dottorato post laurea, 4 di assegno di ricerca e 6 anni di contratto a tempo determinato).
Da ultimo, la riforma Moratti rafforza le possibilità d’intervento delle aziende  all’interno degli atenei istituendo cattedre convenzionate con imprese del territorio che usufruiscono, attraverso l’ istituzione di stage e tirocini, di forza lavoro a costo zero.

I provvedimenti Tremonti-Gelmini si inseriscono in questo quadro di riforme.
Fin qui abbiamo proposto alcuni spunti d’ interpretazione, le prime provvisorie conclusioni di un percorso di studio, o se vogliamo di autoformazione, che ha ancora molte strade da percorrere. Il gruppo “diversamente qualificati” è aperto a chiunque lo desideri.

Riferimenti bibliografici:
Studiare con lentezza. L’università, la precarietà e il ritorno delle rivolte studentesche, AA. VV.
Il sistema formativo europeo, a cura di Interfacoltà (Coordinamento dei collettivi Universitari napoletani), 2006
I Testi delle varie leggi esaminate

 

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